LE TESSITRICI

a cura di L. Brigante, G. Donno, A. Milea

Per un breve periodo, l’arte della tessitura si inserisce in un circuito di mercato e di scambio di filati pronti per essere utilizzati. Passaggi come la pulitura delle fibre e la filatura sono sostituiti dal mercante ambulante che vende i filati ma niente di più. Le tessitrici, nel chiuso delle loro case, continuano a tessere per il fabbisogno familiare e per la dote nuziale senza mai sentire la necessità di modernizzarsi.

Pur essendo mansione femminile, non voleva però dire che fosse attività secondaria e di poco conto. La fase più complessa nella preparazione del telaio era l’orditura che non tutte le tessitrici erano in grado di eseguire. Per questa operazione venivano chiamate ‘le mescie ti lu urdire’, le uniche in grado di eseguire l’orditura. Ordire vuol dire disporre, secondo un calcolo preciso, il filato sull’orditoio un attrezzo in ferro o legno posizionato sul muro, munito di lunghi pioli attorno ai quali si avvolgono i fili. Segue la raccolta dell’ordito ossia l’intreccio manuale dei fili. La treccia ottenuta è avvolta sul subbio posteriore del telaio. L’ordito è dunque l’insieme dei fili verticali posti in senso longitudinale sul telaio e a esso si deve la lunghezza delle tela lavorata.

I fili dell’ordito sono fatti passare, a uno a uno, attraverso le animelle dei licci e sistemati quasi a metà del telaio, si forma la ‘china te lu lizzu’. In prossimità dei licci è posizionata la cassa battente formata da una struttura in legno nella quale è inserito il pettine dove vanno nuovamente inseriti i fili dell’ordito. Chiamato così per la forma di un pettine chiuso alle estremità è formato da tantissime porzioni di canne sottili, detti “denti del pettine”. Serve per tenere in ordine e ben distesi i fili dell’ordito passati, uno a uno, nei denti del pettine.

Ultimata questa operazione, l’ordito è pronto per essere fissato al subbio anteriore e, dopo aver collegato i pedali ai licci, si inizia a tessere. Il movimento sulla pedaliera forma il passo a “V” in cui scivola la ‘sciuscetta’ e filo dopo filo si realizza il tessuto.

I telai salentini sono di piccole dimensioni, per ottenere tessuti di grandi dimensioni come una coperta, un lenzuolo o una tovaglia necessita l’unione di due o tre teli di circa 90 cm di larghezza, la misura massina che un telo può raggiungere. Il Salento è noto anche per le cuperte azzate che sono tessute con una tecnica particolare: lo Sfioccato di Nardò. Le tessitrici neretine, esperte in questa tecnica sono le uniche e gelosissime depositarie.

In un documento, conservato nel museo della tradizione contadina di Tuglie, compare, nell’elenco degli oggetti portati in dote dalla sposa, una cuperta azzata, a dimostrazione dell’importanza attribuita alla coperta, considerata oggetto di lusso molto ambito. Molto del sapere legato ai passaggi più importanti di tale tessitura sono andati persi, perché la trasmissione avveniva oralmente e le anziane tessitrici, depositarie di tali conoscenze, non ci sono più.

Abbiamo, pertanto, inteso interpellare le più rappresentative del territorio con “interviste non strutturate” a cui corrispondono differenti forme espositive. Caratteristici sono il linguaggio spesso integralmente riportato in forma dialettale, le interruzioni dovute al disturbo di agenti esterni, il ritardo temporale di trascrizione imputabile alla distanza fra il luogo dell’intervista e il luogo di lavoro e, in alcuni casi, l’età avanzata delle intervistate che rende difficile l’esposizione dei contenuti. Si precisa, infine, che la diversa qualità dei contenuti è imputabile alla difficoltà delle intervistate di non disporre materialmente di un telaio, al momento dell’intervista, per descrivere in modo soddisfacente la tecnica esecutiva oggetto delle domande.

Durante la tessitura le donne del luogo, così come riscontrato in altri paesi della penisola salentina, ripetono a se stesse i passi dei piedi sui pedali del telaio, come fosse una canzone o forse più propriamente una nenia per non sbagliare il lavoro e mantenersi vigili. Quando eseguono l’intreccio “te lu mpannu” mentre muovono i pedali e la navetta scorre avanti e in dietro dicono:
“ripa ripa, menzu menzu”
Quando eseguono la “spica” mentre muovono i pedali e la navetta corre a destra e a sinistra dicono:
“Ripa ripa, mpannu, menzu menzu, laddu mpannu e ripa ripa”

LE INTERVISTE

Intervista ad Adele Sansò

Adele Sansò di 91 anni è la tessitrice più anziana coinvolta nella ricerca. A causa dell’avanzata età non lavora da diversi anni e la intervista nella sua abitazione di  Taviano,  il 2 settembre 2021,  Loredana Brigante accompagnata da Francesca Miggiano. Dopo i saluti di rito Adele, in compagnia della sorella minore Anna che assiste silenziosa, accoglie nel suo salotto le due ospiti. L’intervista inizia chiedendogli di raccontare la sua storia.

Loredana: Signora Adele quando ha iniziato a tessere e chi le ha insegnato?

Adele: Ho iniziato a tessere all’età di dodici anni. Sono andata presso una tessitrice nunna Aurora Casino per farmi insegnare il pinto ma prima sono anche andata a scuola, fino alla quinta elementare (era il massimo consentito alle donne della sua generazione). Poi venne una dottoressa e mi disse che io potevo pure insegnare alla scola. Mentre tessevo, sotto il telaio tenevo tanti bambini che gli facevo la scola materna . Uuuu…. se ti racconto la storia mia non finisco mai! Prima sono andata a una zia mia. Gli ho detto alla mamma mia: quasi quasi che mi imparo il telaio, sono andata alla zii N’tonia e ho fatto il liccio. Sola l’ho fatto, io l’ho fatto e lei si è pagata 150 lire.

Loredana: Quindi Adele sai fare i licci? E ti ricordi ancora come si fa?

Adele: Si! Lei stessa mi ha imparato (insegnato)

Loredana: Sapresti rifarli?

Adele: Siii!… ma manca “a spatella ” tutte le cose. Quindi me fecii a spatella (Attrezzo in legno rettangolare utilizzato per la fabbricazione dei licci in cotone) 

Adele:  U cuttone tocca lu faci a sei capi. Poi lu torci e tocca lu faci tutti cu li mani, te cusì, ma nciole mutu tiempu. Poi tocca lu lassi te nu picca ca se suca bonu si no poi a cira se leva (il cotone lo devi dividere in 6 capi. Poi lo torci con le mani anche se ci vuole molto tempo e lo lasci un po’ che si asciuga bene la cera d’api di cui è stato cosparso). Uuu…. santa quatara (grande recipiente in pietra)…. quanta fatica ncete. Poi su sciuta a nunna Aurora e n’aggiu tittu: nunna Aurora e nu me mpari nu pintu? E iddhra: ci te mpari quistu te mpari tutte le cose. Poi mparai u pipiceddu” (poi sono andata da Nunna Aurora e gli ho detto: Nunna Aurora e non mi insegni a fare il pinto? E lei: se impari a fare questo, impari a fare tutto. Poi imparai a fare anche il pipicello).

Loredana: Qual’ è “u pipiceddu”?

Adele: Qual’ è? Esce come “nu Canu” si fa: “menzu, ripa e mpannu, ripa te destra e poi te sinistra”. Poi da lì imparai “la mennuleddha”.

Loredana: e come si fa la “mennuleddha”?

Adele: menuleddha? Me mo quella è un pochino impicciusa (fastidiosa) […] Allora si fa due volte a mpannu. Allora queste sono le putariche (pedali del telaio) e fai uno e due, tre e quatro e poi lu canci (ripeti il passaggio) . E si comincia te destra (si comincia a lavorare da destra. Secondo tale sequenza il pedale numero 1 è il primo a destra e a seguire fino al quarto). No aspetta… il primo e il terzo e poi il secondo e il quarto e poi ricominci per due volte. Ogni tanto poi devi fare nu mpannu (tela che si esegue con i seguenti pedali: 1; 4; 2-3. Secondo Adele il pedale numero 1 è il primo da destra). Che si fa: ripa ripa, menzu, menzu (bordo bordo, in mezzo in mezzo. Dalla descrizione fatta il movimento dei pedali potrebbe essere. 1-4; 2-3. Non è chiaro se i pedali vengono schiacciati contemporaneamente o uno per volta. Il pedale numero 1 è il primo pedale a destra e a seguire) prima i due pedali centrali poi i due pedali laterali e poi rifai di nuovo. Uuuu … quanto avrei voluto mostrarvi asciugamani, pinti, mutande, mappine, chiasciuni, matarazzi, (strofinacci, lenzuola, materassi) tappeti te curuddhuri , tutto ho dato, io vendevo tanto.

Loredana: Con quante canne facevi l’ordito?

Adele: cu vinti canneddhe (20 cannelle)

Loredana: Come facevi i tessuti a righe?

Adele: Ogni tieci canneddh canciava culure e lu taccava n’torna (ogni dieci cannelle cambiavo colore tagliavo il filo e lo legavo di nuovo all’ordito)

Loredana: Adele ma quando iniziavi ad ordire (rimettaggio) come facevi? Da quale parte cominciavi?

Adele: Te retu. U retu e lu terzu, u secondu e lu quartu. E a lu pettine doi fili, sempre doi fili alla minata e la china a doi (Da dietro [il liccio più lontano dal tessitore è il n.1] uno dietro e il terzo [licio n. 1 e n. 3] poi il secondo e il quarto [n.2, n.4] e al pettine sempre due fili, sempre due fili alla buttata e alla piena (sempre due fili al liccio e al pettine)

Loredana:  Adele, me cunti nu cuntu?(mi racconti una storia antica?)

Adele: Mo, mo, mo te cuntu (ora ti racconto). Questa è una storia vera. Be’ mi dice mia mamma: figlia non è ora di fare una cosa per casa nostra? Si mamma si. L’ordito non si doveva mai poggiare sul letto. Siccome che la nonna mia era andata da una persona e gli ha detto “cu nu sia ci orde lu minte a susu u lettu?” (non sia mai che tua nipote se fa l’ordito lo appoggia sul letto). Io ho fatto l’ordito e per la fretta l’ho messo sul letto. Poi mia mamma mi ha detto: e mo come facciamo non abbiamo il telaio? E io ho detto: aspetta che mo vado alla nunna Vata così mi da il telaio suo che la figlia non c’era così faccio il pinto sul telaio suo. Per la fretta ho preso l’ordito fatto a treccia e l’ho poggiato sul letto. Quando sono tornata… sorelle mie quando l’ho preso la croce a terra a capitale del letto non si capiva niente. Tutte le croci spostate in alto, in basso, non si capiva niente tutte imbrogliate. Non sapevo come fare. Mia madre mi aiutava a fare le cannelle, ne aveva fatte sei. Riesco a metterlo in ordine e lo monto sul telaio. Prima di fronte avevo dei vicini che di notte accendevano le lampade e dice che di sera in casa mia hanno visto due signore una che faceva la spurgata (rimetteva in ordine i fili dell’ordito) e l’altra che mi tesseva. Quando poi hanno finito le cannelle di cotone si sono fermate e hanno detto: “na che si è finito il cotone… che se avesse preparato altro cotone lo avremmo finito e lo avremmo poggiato sulla cassa”. E me lo hanno tessuto le fate. Dite che sono chiacchere ? Però sono cose vere. Sul letto non si poggia l’ordito perché sul letto c’è il peccato.

Loredana: Adele secondo te il lavoro di tessitrice può essere uno sbocco lavorativo per i giovani di oggi?

Adele: Si. Ai tempi miei si lavorava tanto, tanto. Io non mi sono mai sposata, per vivere dovevo lavorare e con il telaio ho potuto fare tante cose. Ho potuto costruirmi una casa, ho aiutato le mie sorelle, ho fatto carità per la chiesa e tanti viaggi di pellegrinaggio.

Loredana: Adele hai dei disegni da farci vedere?

Adele: No. Avevo un quaderno pieno di disegni ma ho fatto pulizie e l’ho buttato.

Loredana: Che cosa tessevi?

Adele: Facevo le lenzuola, le mutande, le fasce dei bambini, tovaglie, coperte, asciugamani, cuscini, strofinacci, tappeti di stracci e scialle.

Loredana: Ti ricordi come si chiamavano i punti che tessevi al telaio?

Adele: Si. A reula, u pipiceddhu, u pannu, a serpentina, a spica, a mennuleddha e a neura (Si infila quattro a quattro. Si comincia dalle canne d’avanti e si infila quattro a quattro e quindi sono otto fili e fai 1 e 2  poi fai u pannu, 3 e 4, u pannu e ricominci di nuovo. Esce tutto quadrati quadrati) tutte le cose svelte facevo io.

Loredana: Adele sai fare i pettini del telaio?

Adele: No quelli li vendevano o te li passavano le altre tessitrici.

Loredana: Ai tuoi tempi di quanti panni era composto il corredo di una sposa? (Ogni donna salentina prima di sposarsi doveva esibire il proprio corredo alla futura suocera. Infatti gli accordi tra le famiglie si prendevano anche in base alla ricchezza della dote femminile, composta dal corredo nuziale, dal telaio per tessere e in rari casi da animali di cortile o da pascolo)

Adele: Dipende da quanto eri ricca. Il corredo doveva durare tutta la vita. Si faceva di 5, 10, 15, 20. Se era da 5 voleva dire che avevi: 5 coperte, 5 lenzuola, 5 asciugamani o anche di più. Io e le mie sorelle avevamo un corredo di 20 panni.

Loredana: Dove hai preso il tuo telaio?

Adele: Il mio telaio era dalla mamma di Don Pompeo Cacciatore. Ma era già vecchio forse ha un secolo e mezzo. Ma adesso non lo tengo più l’ho buttato al fuoco. Non lo voleva nessuno e mi dava fastidio, poi ormai era tutto rovinato.

Loredana: Adele hai mai tinto il cotone?

Adele: Si con le scorse della sita (melograno). Le fai bollire sul fornello e poi metti dentro il cotone, lo giravi dentro la padella e ogni tanto lo sollevavi per fargli prendere aria. Il tempo dipendeva da quanto lo volevi scuro. Io lo lasciavo a bagno tutta la notte. Poi facevo anche i tappeti con gli stracci su un telaio più piccolo di legno pieno di chiodi.

Loredana: Dove compravi il cotone?

Adele: Lo compravo a Lecce o dalla Pauluccia Scarlino, si vendeva a chili e aveva diverse misure 16, 12, 20. Quando compri un chilo di cotone da 16 ti toccavano16 matasse e 2 di anima, il bacotto.

Loredana: Sai fare il fiocco?

Adele: No quello no. Io dovevo fare le cose più svelte perché avevo bisogno di guadagnare dovevo mantenere la famiglia.

Loredana: Secondo te Adele il telaio oggi può essere un lavoro?

Adele

SI, mettetevi a lavorare sul telaio, quello porta il pane a casa
Voi non potete immaginare quanto pane porta a casa un telaio
Tutto sta nel cominciare!

Intervista ad Antonietta Lanzilao

Intervista realizzata il 16 marzo 2022 da Loredana Brigante a Casamassella.

Loredana:  Antonietta quanti anni avevi quando hai iniziato a tessere per la prima volta?

Antonietta: Avevo 16-17 anni, quando ho preso la licenza media avrei preferito continuare a studiare ma non era possibile. In quel periodo un signore del mio paese aprì un laboratorio di tessitura artigianale, cercava delle ragazze per imparare e andai perché mi incuriosiva  l’idea di imparare a tessere. Quando il laboratorio ha chiuso ho comprato il telaio su cui tessevo e che uso ancora oggi e ho cominciato a lavorare per conto mio. Ho tessuto tante cose con quel telaio, soprattutto asciugamani di misto lino che decoravo con delle fasce “a sfilato” con l’ago o a fiocco, tappeti e coperte a fiocco. Successivamente ho lavorato per negozi di corredo e con altre due amiche, che sapevano tessere, abbiamo preso in affitto dei locali nel centro storico. Quando hanno aperto la Fondazione Le Costantine ci hanno chiamato per  lavorare con loro. In seguito ho incontrato l’arch. Annalisa Surace e ho iniziato a lavorare con lei.

Loredana: Da quanti anni lavori per l’Arch. Surace?

Antonietta:  Da ventidue anni. Abbiamo fatto tanti lavori,  con lei ho iniziato a sperimentare cose più moderne. Da alcuni anni facciamo soprattutto tessuti per abbigliamento, uso tanti filati diversi innovando le tecniche antiche.

Loredana:  Da quanti anni lavori al telaio?

Antonietta:  Sono 43 anni che tesso. Ho fatto anche altri lavori, ma non ho mai abbandonato il telaio. Nel 2020  ho collaborato con Le Costantine per realizzare dei tessuti per la casa di moda Dior.

Loredana:  Antonietta chi ti ha insegnato a fare il Fiocco?

Antonietta:  Delle insegnanti che venivano dalla Scuola d’Arte di Galatina nel laboratorio dove ho iniziato a   tessere

Loredana:  Conosci dei disegni tradizionali che realizzi ancora sul telaio?

Antonietta:  Si. Conosco molti disegni tradizionali, tra cui il ‘Battistero’.

Loredana:  Come fai a fare il Fiocco? Che tipo di tecnica usi per disegnare?

Antonietta:  Dopo  aver  montato  il  metraggio  dell’ ordito  sul  subbio faccio il  rimettaggio ‘a china’ come dicono le  tessitrici anziane e procedo infilando due fili per ogni maglia del liccio, seguendo la sequenza del rimettaggio a tela, ripa ripa mezzu mezzu, cioè 4,1,3,2 e poi quattro fili in ogni dente del pettine, questo rimettaggio si dice a tela doppia. Si può fare anche a tela semplice con 1 filo per maglia del liccio e 2 fili a dente del pettine ma è meno resistente. Per riportare il rimettaggio su carta si disegnano 4 righe orizzontali che rappresentano i 4 licci, dentro queste, si disegna con quadratini la sequenza dei fili nelle maglie. Si comincia a lavorare partendo da dx verso sx e anche per l’infilaggio dei fili nel pettine. Finito il rimettaggio si legano i fili al subbio della trama. Prima di cominciare a tessere, si legano i pedali o podaliche ai licci, secondo lo schema a tela: il primo pedale (n.1) a dx lo lego con il primo liccio di fronte a me, l’ultimo pedale (n. 4) al liccio n. 4 che è quello più distante da me. Proseguo con i 2 pedali centrali, legandoli ad incrocio, il pedale n. 2 con il liccio n. 3 e il pedale n. 3 con il liccio n .2. A questo punto si può iniziare a tessere. Si usano due spole: la stecca lunga per il fiocco e la navetta per passare i fili di intermezzo. Parto passando la navetta piccola con apertura del passo ottenuta abbassando i pedali 2 e 3 insieme. Poi procedo con un altro passaggio di navetta in apertura del passo con pedale n. 4 abbassato e il terzo passaggio lo faccio con apertura del passo con pedale n.1 abbassato. Il passaggio successivo si ottiene tramite apertura del passo abbassando il pedale n.2 ; quindi infilo la stecca del fiocco e sono pronta per tessere. Con il dito prelevo il filo passato con la stecca e lo avvolgo su un ferro appoggiato sui fili di ordito a formare il punto del fiocco. Si ripetono i 3 passaggi del filo di intermezzo per bloccare il fiocco e poi si sfila il ferro e si ricomincia la lavorazione. Per fare un lavoro a fiocco si fa prima il disegno su carta a quadretti, con crocette per indicare i punti di alzata del filo di fiocco. Se si lavora in questo modo, con la tela doppia, quando si termina si vede sul davanti solo una tela base uniforme e il nodino a fiocco.

Loredana:  Antonietta, secondo te, il lavoro della tessitrice è un lavoro che può essere svolto ancora oggi?

Antonietta

Si, secondo me si, ma bisogna fare innovazione
Va bene apprendere le vecchie tecniche ma bisogna ingegnarsi
e fare cose nuove più adatte alla vita di tutti i giorni

Intervista a Cristina Margiotta

Intervista realizzata il 21 ottobre 2021 da Gabriella Donno ad Acquarica di Lecce. L’amore per il telaio è scoppiato dopo aver frequentato il corso di “Addetta alla tessitura” a Le Costantine. Ha costruito gli attrezzi  per  tessere in autonomia come “u nncannulaturu elettrico” .

Gabriella: Come ti sei avvicinata al mondo della tessitura?

Cristina: Un anno fa ho fatto un corso a Le Costantine, a Casamassella, dove c’è un laboratorio di tessitura. Il corso è durato un’invernata, avevo appena compiuto 50 anni ed ho imparato qualcosa di nuovo.

Gabriella: Era una tradizione di famiglia?

Cristina:  Assolutamente no, solo un ricordo di bambina, di una vicina di casa che aveva un telaio.

Gabriella: Quindi è una tua passione?

Cristina: Inizialmente una curiosità, la passione è subentrata dopo. E’ come se sentissi la responsabilità di portare avanti la tradizione. Qualche anno prima ho a una parente di mio marito di insegnarmi a tessere ma non riusciva a fare l’ordito o ad armare il telaio, perché  si usava che una signora girasse per le case private per ordire e armare, la “mescia te telarù”. Questa signora era morta e la tessitrice non usava il telaio perché sapeva solo tessere.

Gabriella: Ma la tessitura era solo per donne o c’erano anche uomini?

Cristina:  No, no assolutamente solo donne.

Gabriella: Hai un tuo orditoio?

Cristina:  Si, ce l’ho. Ho imparato a fare l’ordito ed ad armare il telaio, facendomi aiutare da parenti, amici, vicini di casa, perché comunque per fare la stisa si ha bisogno di minimo tre persone.

Gabriella: Ed il tuo telaio dove l’hai recuperato?

Cristina:  Da un’inserzione sul Quotidiano. Il proprietario lo aveva ereditato con la casa della nonna, se ne voleva disfare, quindi io l’ho comprato, restaurato e lo tengo in soggiorno.

Gabriella: Come si fa l’ordito?

Cristina:  Si raccoglie il filo sui canneddhi, fatte di canne palustri. Prima di tutto devi farti un progetto del tessuto quindi fai un calcolo per ottenere il numero preciso di fili determinato dalla misura di quello che devi ottenere. Il numero dei fili si stabilisce anche rispetto al numero del filato (grosso, sottile) o il tipo di filato (lana, cotone, seta), di conseguenza si sceglie il passo del pettine, diviso in denti e centimetri. Si raccolgono i fili sui canneddhi, una ventina, il filo viene raccolto sull’orditore e realizzi una matassa; io l’ho fatta sempre intorno ai 15 m, non più lungo perché poi è difficile da gestire. La matassa si avvolge sul subbio con un procedimento delicato, da lì dipende il risultato del manufatto, la cosa complicata è questa: avvolgere la matassa sul subbio tenendo una tensione regolare.

Gabriella: O Pinto o Fiocco. Il Fiocco lo hai mai fatto?

Cristina:  No, conosco la tecnica ma non l’ho mai fatto.

Gabriella: Quando l’ordito finisce, il passaggio finale come si chiama?

Cristina: STAIATURA significa terminare, i contadini quando finiscono di lavorare dicono Aggiu staiatu, un detto dice “Ulia nna mamma cu mme ‘ncigna e ccu mme staia”, perché le fasi della tessitura più complicate sono inizio e  fine.

Gabriella: Secondo te è un lavoro che potrà continuare in futuro? per i giovani?

Cristina

Secondo me sì, perché ultimamente si tende a rivalutare tutto quello che è artigianale
Però ci vuole passione, è un’arte, anche se fa parte delle cosiddette Arti Minori

Intervista a Evelina Primiceri

Intervista realizzata il 10 ottobre 2021 da Loredana Brigante a Taviano presso l’abitazione della tessitrice. Evelina, ha 77 anni, è un autodidatta, ha appreso i primi rudimenti della tessitura da bambina quando aiutava la sua vicina. Dopo qualche esitazione, ci racconta la sua storia

Evelina:  Ho imparato a tessere all’età di 9 anni, ma non sono mai andata da una maestra. Quando ero giovane bisognava fare qualcosa, non si poteva stare a casa a fare niente. Andavo in campagna e se pioveva rimanevo a casa, dopo le faccende domestiche aiutavo la  vicina che era tessitrice. Si chiamava Mescia Uccia. Andavo spesso ad aiutarla quando doveva fare l’ordito e montare il telaio, gli passavo i fili. Nessuno mi ha  davvero insegnato,  il mestiere l’ho rubato con gli occhi alla vicina

Evelina continua a raccontare che la sua vicina si era trasferita da Ugento a Gemini dopo il matrimonio e che di mestiere aveva sempre fatto la tessitrice. Dato che non aveva nessuno che l’aiutasse nel suo lavoro spesso si serviva di lei per le operazioni più impegnative. Dopo averla aiutata per un certo periodo Evelina decide di acquistare un telaio per sé. Il telaio se lo farà costruire da un falegname di Ugento un certo Gino Russo, lo stesso falegname che ha costruito il telaio della signora Maria Schito di Ugento, e che costruiva telai per tutta la provincia e oltre. Troviamo i suoi telai, infatti, non solo ad Ugento ma anche nella zona del Capo di Leuca, il circondario di Gallipoli, la Grecìa, la provincia di Foggia, la provincia di Barletta e Bari.

Loredana: Mi puoi mostrare qualcosa?

Evelina si allontana per qualche minuto e ritorna con un pacco di indumenti dove conserva, come fossero delle reliquie, i suoi ultimi lavori. Mi spiega che la maggior parte di quello che ha tessuto lo ha venduto; si è tenuta solo poche cose per ricordo. Mi mostra dei centri realizzati a “fiocco salentino” e degli asciugamani. Sono molto belli e ben eseguiti.

Loredana: Con il tuo lavoro sei riuscita a guadagnare abbastanza per sostenere la famiglia?

Evelina:  Quando mi sono trasferita a Taviano, dopo il matrimonio, ho portato con me il telaio. Non c’erano molte tessitrici e chi c’era non sapeva fare tutto quello che sapevo fare io. Si tessevano solo cose semplici di prima necessità con il metodo della tela e qualche pinto. Il fiocco non lo sapeva fare nessuno. Per avere un bel corredo bisognava andare da tessitrici più raffinate

Evelina continua a parlare dei vari modi di lavorare al telaio dal più semplice, “u mpannu” ossia una trama “a tela” dove era possibile variare il lavoro con l’aggiunta del colore, al più complicato, “a fiocco” e i “pinti”. Lei è molto conosciuta e i suoi lavori  richiesti e ben pagati. Racconta che l’ultima coperta a fiocco venduta ha fruttato quattro milioni di lire e aggiunge

Evelina: Con le cose moderne che ci sono oggi nessuno vuole più una coperta così, è molto pesante e richiede troppa manutenzione per le donne di oggi. Sono quindi passata a fare cuscini e centri che si sono venduti bene.

Loredana: Come hai fatto a portare avanti tanto lavoro da sola?

Evelina: Mio marito mi aiutava sempre quando dovevo fare l’ordito e montare il telaio, si perché per fare bene un ordito, c’è bisogno della forza di un uomo. Poi, una volta montato il telaio, potevo continuare a lavorare da sola

Loredana: Evelina dove compravi i filati?

Evelina: Il cotone lo compravo da Costa o da Calabrese, la lana a Lecce, non ricordo il negozio, ma so che veniva da Firenze

Grazie ai suoi guadagni Evelina ha fatto molte cose, ha costruito una casa con il marito, ha cresciuto, mandato a scuola e sposato le sue figlie. Durante la conversazione, durata circa due ore, si nota la  disponibilità e la voglia di raccontarsi. Da quando non tesse più si consola con la lettura perchè per lei il telaio non era solo uno strumento di lavoro ma un grande compagno di vita grazie al quale ha raggiunto l’indipendenza economica.

Loredana: Evelina secondo te il lavoro di tessitrice può ancora aiutare le donne a guadagnare?

Evelina

Anche se oggi non si fanno più molte delle cose che facevo io
si può ancora guadagnare da questo lavoro
Certo i giovani si devono sbrigare, devono imparare perché noi siamo diventate vecchie, molte tessitrici non ci sono più, e se noi non ci siamo voi come fate?

Intervista a Francesca Chiriatti

Intervista con Francesca Chiriatti, nipote di Maria Antonietta Solazzo, realizzata il 06 ottobre 2021 da Gabriella Donno nell’abitazione / laboratorio a Surano che gestisce con perizia e competenza. È allestito con telai in legno ereditati dalla zie con cui ha iniziato a tessere a trent’anni e non ha più smesso. L’azienda non produce come una volta, continua a farlo con le amiche di sempre che chiama sorelle in quanto cresciute insieme accomunate dalla passione per la tessitura. Francesca ha un raccoglitore con  foto dei i tessuti a fiocco realizzati da sua zia, articoli e  foto con personaggi illustri. Il repertorio, sviluppato in più di cinquant’anni, comprende decine di motivi, ispirati a natura, cultura salentina e fantasia. Interessanti sono i  lavori ispirati a quadri di famosi artisti, adattandoli al suo estro. Un arazzo tessuto a fiocco Surano interpreta un dipinto del pittore Braque.

Gabriella:  Quando è nato il laboratorio delle sorelle Solazzo?

Francesca:  Questo laboratorio qui a Surano nacque nel dopoguerra

Gabriella:  Le sorelle Solazzo erano originarie di Surano?

Francesca:   Erano originarie di San Pietro Vernotico e sorelle di mia madre. La nonna era  Barrotta, il padre di San Pietro Vernotico. Mia nonna era originaria di Surano e le sorelle Solazzo venivano qui per lunghi periodi. Nel secondo dopoguerra aprono questo laboratorio, non facevano corredi, ma danno un’impronta artistica, soprattutto Maria Antonietta, realizzando coperte particolari. Lei realizzava i disegni facendo ricerche sui Pinti del Basso Salento. Ogni volta che usciva o in un viaggio se c’era qualcosa che la colpiva, lo metteva in schema per renderlo eseguibile. Invece Mariateresa anche da una cartolina realizzava il lavoro direttamente al telaio. Per esempio un quadro di Braque lo realizzava guardando la figura da una stampa. La sede del laboratorio era prima su via San Rocco poi, per motivi familiari in quanto la nonna aveva problemi cardiaci, hanno comprato qui a piano terra mentre le camere da letto si trovavano sopra. Si alternavano, andavano, venivano, si sposavano, si allontanavano, seguivano il marito e lei stava sempre insieme a loro, tesseva e aiutava. Il fatto che tessevano solo donne non escludeva gli uomini, anche loro potevano farlo. Il fratello di Van Gogh ad es. era tessitore (mostra una stampa con un uomo al telaio)

Gabriella:   Quali sono i passaggi fondamentali per iniziare a tessere, conosce qualche termine dialettale?

Francesca:  La china, per esempio, è lo schema del disegno per quanto riguarda i pinti. L’aiatura, significa legatura, era un’unità di misura che non nominiamo più ed equivale a 50 denti; a seconda del pettine che utilizziamo ritroviamo 50 denti in 12 cm. o 50 denti in 6 cm. Cioè si dice in termine tecnico  “il pettine da 12 ha legatura…

Gabriella:  Quando ho fatto l’ordito una signora parlava di cucchi, ogni volta che scendeva e misurava una scisa, metteva un filo

Francesca:  Noi, invece di scise, le chiamiamo legature; scegli quale pettine usare, quanti centimetri è largo il tessuto che vuoi realizzare e calcola le legature, poi le leghi per tenerle a mente, così non ti perdi e sarà più semplice quando lo monterai sul telaio

Gabriella:  Prima di fare l’ordito si deve fare il conto dei cannieddhi?

Francesca:  Ne metti quanti ne hai

Gabriella:   La legatura di quante coppie è fatta?

Francesca:  Per esempio la legatura dei pinti è di 25 coppie, la legatura del fiocco è di 50 coppie

Gabriella:  Ma le coppie cosa sono?

Francesca: Coppie di fili, devi fare l’incrocio a due. SE TU VUOI IMPARARE DEVI FARE DA TE. PROVA PROVA PROVA! Fiocco, pinti e tela e poi sperimentare

Gabriella:   Secondo lei è un lavoro che può continuare in futuro?

Francesca

Non lo so, coi tempi che stiamo vivendo non so che dire
Le nuove  generazioni  sono prese da altri interessi e sono rimaste
poche le persone che hanno passione e interesse
Le donne non tessono più, vendono il telaio
noi tessiamo più per noi stesse, per non stare in ozio

Intervista a Lena Paiano e Carla Melfi

Intervista realizzata il 11 ottobre 2021 da Gabriella Donno al laboratorio “Amando e Cantando” presso Le Costantine a Casamassella.

La Fondazione Le Costantine è stata creata nel 1982 e vive dei lasciti testamentari di Giulia Starace e di sua madre Carolina de Viti de Marco. E’ una realtà d’eccellenza che unisce la produzione di tessuti di pregio all’agricoltura biodinamica ed alla formazione. La Fondazione è il frutto d’impegno rivolto al sociale che caratterizza l’attività delle nobildonne determinate e sapienti. Nell’ atto costitutivo un passo è dedicato ai lavori artigianali come fattore di promozione umana in uno sviluppo armonico dell’individuo.

La mission della Fondazione è creare benessere per gli abitanti del luogo, incoraggiando i giovani a non abbandonare la loro terra, rimanendo legati al territorio e alla sua tradizione.

Con lo stesso spirito nasce il laboratorio di tessitura, dove donne di tutte le età tessono, scegliendo tra un disegno di donna Giulia ed un filato colorato, tappeti, tovaglie, sciarpe in prezioso cashmere, asciugamani e tessuti per abbellire le Tavole di San Giuseppe, il 19 marzo di ogni anno.

Il laboratorio è sempre in fermento e la presidente della Fondazione, M. Cristina Rizzo, non smette di promuovere il loro lavoro, attraverso mostre, corsi di formazione, convegni, viaggi di promozione.

Interessante visitare la mostra“ Le anime del Tessile”, curata da Elena Laurenzi e Brizia Minerva, ispirata al volume della stessa Laurenzi “I fili della trasmissione”, dedicata a Carolina De Viti De Marco, Etta De Viti De Marco, le loro figlie Giulia e Lucia Starace, Giulia De Viti De Marco. Anche il regista salentino Eduardo Winspeare ha dedicato un docu-film allo stesso lavoro di ricerca, il cui titolo è un rimando al laboratorio di tessitura de Le Costantine.

E davvero amano e cantano con passione, gelose del loro luogo e dei loro saperi, ma pronte ad aprirti le porte del loro mondo per raccontarsi.

Lena Paiano

Lena Paiano è strettamente legata a Donna Giulia Starace. Dove adesso c’è il laboratorio, prima c’era il salotto di donna Giulia, era la sua casa. Lì si era trasferita a vivere insieme al suo cane, ed una delle persone di cui si fidava ciecamente era il papà di Lena.

Lei spesso accompagnava il padre alla tenuta e quando nel 2003 aprirono il laboratorio di tessitura per lei si realizzò un sogno. Da ragazzina non voleva tessere da giovane perché era roba te vecchie, solo le anziane ancora tessevano; Lena avrebbe voluto andare a scuola a Maglie, ma  era impensabile ai suoi tempi mandare una figlia fuori a studiare, anche se distava solo pochi chilometri dal suo paesino. L’unica scelta che poteva fare era o andare ad imparare il mestiere della sarta o il telaio. Seduta a tessere, preparava il suo corredo e la mamma era contenta.

Ora il telaio è la sua vita e la Fondazione è come se fosse casa sua. E’ la  responsabile del laboratorio, ma non prende nessuna decisione da sola. Tutte le tessitrici all’interno del laboratorio conoscono le fasi della tessitura, in modo da non essere insostituibili. Pinti, tela, fiocco, sfilato e spolinato sono le tecniche più usate per realizzare i loro capolavori, richiesti in tutto il mondo.

La soddisfazione è grande, guadagnare la propria indipendenza economica, senza dover chiedere soldi al marito, è motivo di orgoglio per tutte loro. E poi tessere è un lavoro che ti tiene in forma, è ecologico.

Ti fa piacere sapere che i tuoi tessuti abbelliscono una casa.

Ai giovani consiglio di sedersi e tessere
anche perché non tutti possiamo stare davanti al computer

Carla Melfi

Carla è una giovane tessitrice che lavora presso il Laboratorio “Amando Cantando” de Le Costantine. Racconta che sin da piccola andava alla mescia de telaru  e il suo primo compito era quello di riempire canneddhi. Le piaceva quel mondo e nel 2012 si iscrive al corso di formazione per  “Addetta alla tessitura” presso la Fondazione. Durante il corso si appassiona talmente tanto che, insieme ad una sua compagna, realizzano un campionario con gli schemi di rimettaggio e pedalatura dei Pinti più utilizzati durante il corso. Durante il 2020 lavora presso Le Costantine per realizzare capi per la casa di moda francese Dior.

Intervista a Maria Schito

Intervista realizzata il 22 – 28 e 29 settembre 2021 da Loredana Brigante presso l’abitazione della tessitrice ad Ugento di 81 anni. La prima giornata è stata un momento d’incontro e scambio di idee. Nella seconda e terza giornata si è realizzato l’ordito, il rimettaggio e iniziato a tessere la tela per degli strofinacci. L’intervista è preceduta da una telefonata a cui la donna risponde: “me… sciamu ci cumanni mo tie?” sembra alterata, dopo una breve presentazione si tranquillizza e ci si accorsa per un incontro.

La specialità delle tessitrici Ugentine erano le coperte a fiocco, che eseguivano con grande maestria e in modo completamente diverso dalle tessitrici del circondario tanto da essere conosciute come grandi esperte, e per questo molto ricercate, dai paesi del circondario. Infatti Maria rivela che: “Le coperte a fiocco non tutti le sanno fare, è una cosa molto difficile, devi saper disegnare e montare il telaio a fili doppi”.

Durante la conversazione la signora confida che ormai è stanca di tessere e che questa sarà l’ultima volta che monterà il suo telaio anche perché ha finito tutto il cotone e “adesso non se ne trova più buono come una volta”. Dice anche che “per montare il telaio ci vuole una mano” e lei è ormai anziana. Spiega come funziona il suo telaio, come lo monta, come si chiamano tutti gli attrezzi, ovviamente tutto in dialetto. Finita la conversazione l’intervistatrice si rende conto che  è l’ultima occasione per vedere la signora Maria al lavoro e si propone di aiutarla. La donna si illumina, nei suoi occhi c’è una luce che brilla di gioia, sembra felice e dice: “ma tu mi aiuteresti davvero? guarda che è difficile non è cosa per tutti”. La Signora Maria sembra riflettere. Con passo lento e risoluto va nella stanza del telaio che mostra con orgoglio “cuistu è lu talaru meu…. Tie neri mai vistu un? No cusi no te sicuru?”.

La Signora Maria ha iniziato a tessere all’età di 9 anni e insieme alle sue coetanee frequentava la “Mescia te lu Tilaru” una certa “Nunna Rusina Scarcia” che aveva presso di sè numerose allieve; non tutte hanno poi proseguito l’arte della tessitura. Lei ricorda solo una certa Laura che, come lei, faceva strofinacci e coperte a fiocco. Racconta anche che ai suoi tempi le insegnati di telaio nel paese erano molte e avevano numerose allieve di tutte l’età. Erano giovani ragazze di famiglie contadine che, in alternativa alla campagna o dopo i lavori in campagna e quelli domestici, nelle giornate di pioggia, si recavano dalla maestra del telaio per imparare a tessere. L’obiettivo principale era quello di farsi da sè il corredo, per se stesse e la numerosa famiglia. Una volta raggiunto lo scopo non tutte proseguivano l’arte tessile. Dopo una breve pausa di riflessione la Signora Maria  dice: “va bene  ti chiamo quando devo montare il telaio”. Dalla cucina si sposta in cortile e mostra il muro dove fa l’ordito “a quai nci su li fierri”,  spiega a cosa servono e poi si dirige verso il garage, si scusa per il disordine dovuto agli attrezzi di campagna e dice “Cuarda a quai uncisù li fierri piccinni, a quai le taule …..” e prosegue mostrandomi tutti gli attrezzi che occorrono per fare l’ordito, li nomina uno per uno.

La  conversazione continua tanto e la signora mostra quello che ha tessuto. Spiega  che le è rimasto poco, ha dato tutto. Mi fa vedere i suoi strofinacci. Me li mostra con una punta di orgoglio perché sono tutti colorati. Ai suoi tempi era molto difficile procurarsi il colore. Mi spiega che i suoi strofinacci sono colorati perché lei lavorava le coperte “a fiocco”, che erano colorate, e poi riutilizzava il cotone rimasto. In camera da letto mostra la sua coperta tessuta quando aveva circa 11 anni, non ricorda bene, ne ha fatte così tante. La coperta è bianca con il fiocco giallo, perfettamente stirata e apparecchiata sul letto matrimoniale della sua camera. Accanto al letto matrimoniale c’è un lettino con un’altra coperta a fiocco bianca con il fiocco azzurro e poi dei cuscini rosa sulle sedie ai piedi del letto matrimoniale.

La  conversazione si conclude che è ormai sera e deve preparare la cena per il figlio, passata la festa del paese aspetterà la giornata adatta per montare l’ordito. “Deve essere una giornata che non fa caldo e non c’è vento di mattina presto o di pomeriggio”.

Arriva il giorno dell’ordito. Solitamente le tessitrici salentine iniziano a lavorare di buon ora, verso le cinque del mattino, “cu lu friscu”, dicono, si lavora meglio. La signora ha preparato tutta l’attrezzatura occorrente. Due sedie di paglia, poste l’una di spalle all’altra che reggono due assi di legno disposte parallelamente tra loro. Entrambe le assi di legno sono percorse da circa 20 – 25 fori equidistanti all’interno dei quali erano stati introdotti dei sottili fili di ferro, vecchie asticine di ombrelli rotti denotando l’arte dell’arrangiarsi, tipica delle tessitrici locali. Spesso gli attrezzi che utilizzano per tessere altro non sono che oggetti rotti o in disuso inizialmente destinati ad altro uso, recuperati e adattati alle varie necessità della tessitura.

In ogni fil di ferro è stato introdotto quello che oggi chiameremmo rocchetto, ma che la signora chiama “cannula” composta da un pezzo di canna palustre intorno al quale viene avvolto il filo di cotone. Tutta questa attrezzatura è disposta parallelamente al muro di cinta della casa. Spesso nelle case salentine è presente un cortile interno, al riparo dagli sguardi indiscreti e dalla calura estiva   adibito a svariati usi dalle donne della casa. Lungo il muro di cinta dell’abitazione vi sono 12 fori utilizzati dalla signora Maria per infilarvi  altrettanti tubolari di ferro a una distanza prestabilita che può variare in base alle esigenze dell’orditura. Ha inizio così il lungo lavoro di orditura, la prima e più importante fase della tessitura.

La signora Maria ha intenzione di preparare un ordito lungo “80 razze” e questo  comporta un lavoro  lungo di circa 6 – 7 ore durante le quali non è possibile fermarsi altrimenti la tensione di tutto l’ordito è compromessa. Terminato il lavoro di orditura (urditu) si passa al montaggio dell’ordito sul telaio. Operazione che richiede l’aiuto di almeno 3-4 persone ognuna con un compito ben preciso. L’ordito è disposto al centro del “subbio dell’ordito” e i fili che lo compongono distesi su di esso, secondo la misura prestabilita. Circa a metà della lunghezza dell’intero telaio è disposto un pettine di legno detto “mescia” sul quale sono disposti i fili in gruppi. In ogni dente vi è una liatura ossia un gruppo di fili.

E’  possibile montare l’ordito sul telaio con un minimo di due persone. Questo richiede però, un maggiore impegno da parte dei partecipanti e raddoppia il tempo dell’operazione di montaggio. Spesso infatti le tessitrici si riuniscono per la fase di “orditura e montaggio del telaio” che  occupa tutta la giornata. Favore ricambiato dalle altre compagne, è anche una delle rare occasioni di svago e di chiacchierare  per le donne che vi partecipavano.

Questa operazione richiede circa 2 ore durante le quali l’ordito è stato avvolto, in tutta la sua lunghezza, sul subbio dell’ordito; i fili sono stati pettinati e distesi in modo da essere ben separati e disposti per tutta la larghezza necessaria all’operazione di tessitura. Il passo successivo è infilare i fili, uno per uno, nei licci detti “lizzi” o “cannilore”, oggi chiamiamo questa operazione rimettaggio. Il telaio tradizionale salentino è un telaio a quattro pedali, quindi ha quattro licci. Per questa operazione è necessario seguire un metodo che è la risultante dell’orditura prestabilita. La signora Maria vuole eseguire un rimettaggio a tela detta “mpannu”  partendo dal primo filo alla sua destra. In questo caso per eseguire il rimettaggio a tela ha infilato un filo a maglia (o liccio) e due a dente. La sequenza seguita è 4-1 e 3-2. Il passo successivo è quello di introdurre i fili dell’ordito nel pettine detto “pettine”. Tale operazione non è fatta a caso, così come  la scelta del pettine.  Tutto è calcolato dalla tessitrice prima ancora di iniziare il lavoro di orditura. Nel nostro caso è stato usato un pettine da 14 “Liature” riempito fino a 9 liature. Tale pettine è ritenuto adatto per la tessitura di strofinacci e sono stati inseriti due fili di cotone per ogni dente. Anche il numero dei fili di cotone per dente può variare in base al tipo di lavoro che si vuole ottenere, e allo spessore del filato. Questa operazione ha richiesto circa 3- 4 ore. 

Intanto che il lavoro prosegue le tessitrici sono solite chiacchierare del più e del meno. Terminata la fase di montaggio del telaio è ora possibile passare alla fase di tessitura che proseguirà per tutta la lunghezza dell’ordito. Il disegno è una tela semplice che viene utilizzata per vari usi. Il movimento dei pedali è : 1-3, 2- 4  partendo dalla destra del tessitore.

Intervista a Melissa Calò

Intervista realizzata a Melissa Calò il 20 ottobre 2021 da Gabriella Donno presso il Laboratorio tessile METESSI a Salve

Gabriella:  Come ti sei avvicinata al mondo della tessitura?

Melissa:  Mi sono avvicinata al mondo della tessitura per lavoro, dovendo organizzare un laboratorio che lo aveva come oggetto. Prima di allora non avevo mai visto un telaio.

Gabriella:  Quanti anni avevi?

Melissa:  Avevo 35 anni.

Gabriella:  Era una tradizione di famiglia?

Melissa:  Avevo una nonna, mai conosciuta e prematuramente venuta a mancare, quindi nemmeno la figlia ha dei ricordi in questo senso, che tesseva. Da lei ho ereditato una bisaccia. Però posso dire che la “cultura del tessile” l’ ho avuta in famiglia, avevo una zia molto conosciuta come ricamatrice, mia madre stessa era ed è molto abile a lavorare con i ferri e collezionava riviste femminili di ricamo. Posso affermare perciò che una certa educazione al bello, a questo tipo di arti io l’abbia ricevuta in famiglia.

Gabriella:  Quindi è una tua passione?

Melissa:  Si ,un vero e proprio colpo di fulmine.

Gabriella: Chi ti ha insegnato a tessere?

Melissa: Posso dire di aver avuto più insegnanti e più canali d’apprendimento. In prima battuta, Lena, Silvana, Rosalba della fondazione de “Le Costantine “ma non in senso classico. Assistevo alle lezioni del corso che avevo organizzato e qualcosa ho imparato lì, anche se quando mi sono avvicinata alla tessitura avevo la sensazione di non apprendere qualcosa di nuovo, ma di ricordare qualcosa che sapevo già. Altre maestre sono state le tessitrici che ho incontrato in questo percorso, donne già anziane che purtroppo sono venute a mancare in questi anni. Molto poi ha fatto internet, grazie al quale ho conosciuto diversi tessitori sparsi in giro per l’Italia, gli incontri, l’amicizia e le lezioni avute da loro. La tessitura è una miniera di ricchezza infinita.

Gabriella:  La tessitura era un’attività esclusivamente femminile o c’erano anche uomini?

Melissa:  Da quello che ne so, tradizionalmente le tessitrici sono sempre state, salvo rarissime eccezioni, donne, perché era un’arte prettamente di sussistenza, strutturata per un uso e consumo domestico. Gli uomini intervenivano nel passato solo per la raccolta delle fibre (il lino, ad esempio) o per aiutare le figure femminili in casa nell’eseguire alcune operazioni (l’avvolgimento dell’ordito sul subbio, per esempio).

Gabriella:  Come si realizza un tessuto?

Melissa: La realizzazione di un tessuto comporta diversi passaggi, abbastanza lunghi che partono dalla progettazione del manufatto. In base a ciò che si vuole realizzare si sceglie il tipo di filato da impiegare, il titolo, la riduzione del pettine da utilizzare.

Gabriella:  Cosa s’intende per rotoli?

Melissa:   Se per “rotoli” si intendono le spole per fare l’ordito con il cusifierru, se per rotolo si intende invece l’ordito avvolto sul subbio è l’operazione successiva a quella indicata sopra. Ci sono diverse procedure, solitamente però, e per semplificare, si inserisce un’estremità della catena di cotone, l’ordito, nel subbio posteriore e si mette in tensione l’insieme dei fili servendosi di un peso consistente che grava sul resto della treccia. Si inizia ad avvolgere il subbio che trascina i fili e il peso.

Gabriella: Mi puoi descrivere un telaio salentino?

Melissa: Il telaio salentino è una struttura formata da due ritti in legno tenuti insieme da tre traverse. Lo compongono un subbio posteriore e anteriore, tenuti bloccati entrambi da due freni, una pedaliera, in cui ogni pedale è collegato ad un liccio che è tenuto in sospensione da bilancieri, legati ad un bastone superiore, una cassa battente anch’essa sospesa ad un’asse, che a sua volta blocca il pettine formato da lamelle di canne. Lo completano, nelle sue varianti più artistiche e decorative, una cimasa e dei pomi posti ai quattro angoli dei ritti. Può essere in legno o colorato. Il telaio salentino è riconoscibile perché solitamente viene curato anche l‘aspetto estetico con decorazioni varie (pomi, cimase). Rispetto al telaio di altre regioni è meno massiccio. Inconfondibili sono poi i bilancieri di legno(in altre regioni, o nel nord della Puglia, ad es, si usano le carrucole). Il telaio tradizionale è un oggetto culturale che esprime la nostra identità. Non esiste un telaio al mondo che nella forma sia uguale a quello salentino, mentre lo è nella funzionalità. La cosa che mi continua a stupire è la precisione e l’accuratezza di certi tessuti nonostante l’approssimazione e la semplicità dei telai e degli strumenti adoperati.

Gabriella: Quali sono le principali tecniche di tessitura tradizionali?

Melissa: Oltre alle armature principali (es. saia, tela, con tutte le possibili varianti) le tecniche tradizionali sono il “PINTO”, la lavorazione a “PEZZUDDHI”, la bisaccia, il fiocco e lo sfilato a telaio.

Gabriella: Come si realizza un tessuto a fiocco?

Melissa: Il fiocco prevede l’uso di un ferro, di diametro variabile in base al titolo del filato usato, che viene appoggiato sul tessuto. Tenendo premuti i pedali, e quindi aperto il passo, si preleva il filo della trama sottostante e con le dita lo si avvolge sul ferro, costruendo punto dopo punto, seguendo uno schema che andrà a comporre un determinato disegno. Al termine della riga, si esegue un passaggio con la navetta per bloccare la lavorazione e si sfila poi il ferro. Si ottengono così dei punti a rilievo.

Gabriella: Cos’è per te la tessitura?

Melissa: Per me la tessitura tradizionale, e per come intendo praticarla  io, pone un accento non tanto e non solo sul prodotto ma sul processo. La tessitura manuale è una cerimonia che prevede riti e gesti codificati, richiede ritmi e tempi diversi dalla produzione meccanica e industriale.

Gabriella:  Secondo te è un lavoro che può continuare in futuro?

Melissa

Si, se i più giovani avranno un’adeguata preparazione. Manca a livello locale una preparazione nel campo dell’arte tessile, lo studio, la conoscenza delle tecniche tradizionali, ma anche il confronto con le tradizioni tessili di altri luoghi per cogliere analogie e peculiarità

E poi, sicuramente, se questa vuole essere una professione, avere una visione d’insieme di altre competenze. Un artigiano nel 2021 deve sapere che esistono gli strumenti di marketing, i social, quale sia la “cassetta degli attrezzi” di corredo. Questo non significa doverli maneggiare necessariamente tutti in prima persona perché esigono professionalità, ma almeno avere consapevolezza e una visione d’ insieme. Discorso complesso!

Gabriella:  Qual è il lato positivo del lavoro di tessitrice?

Melissa: Si, La tessitura è una vocazione-fascinazione (dice il detto: “lu talaru è macaru!”). Ho amici tessitori/tessitrici che hanno vissuto periodi di crisi, ma hanno smesso solo o per sopraggiunti limiti di età o per impedimenti fisici. Chi ha interrotto la tessitura poi l’ha ripresa. Rispondendo alla domanda, sento di dire che il lato positivo è la possibilità continua di sperimentazione e l’innovazione che si può portare nella tradizione.

Intervista a Pina Specchia

Intervista realizzata il 26 luglio 2021 da Alessia Milea presso l’abitazione della signora Pina Specchia che ha 82 anni vive e lavora a Muro Leccese. Ha iniziato a lavorare come tessitrice all’età di 15 anni e lavora ancora oggi nel suo paese nativo.

Alessia: Signora Pina, quanti anni aveva quando ha iniziato a tessere?

Pina: La prima volta che ho visto un telaio avevo cinque o sei anni a casa di mia zia, la sorella di mia madre. Era nostra vicina di casa e spesso andavo a trovarla, mi piaceva andare a casa sua e quando la vedevo lavorare rimanevo incantata. Lei aveva molti clienti, era il periodo del dopoguerra, si tesseva per realizzare capi di abbigliamento, vestiti, pantaloni, camicie. Si usavano molti tessuti naturali come lana, cotone, canapa, lino. Si faceva tutto a mano, prima si filavano le fibre, poi si tessevano e la sarta cuciva i vestiti. All’epoca non c’erano le industrie , già confezionato si trovava solo il cotone per l’orditura che vendevano a pacchi da 4 chili, erano molte matasse. Mia zia per fare il rotolo di ordito si metteva in strada e usava il muro di fronte casa, con  ferri allineati nei buchi del muro, tanto passavano solo carretti con i cavalli dei contadini. Sono andata a scuola fino alla quinta elementare, perché mio padre ci teneva e voleva farmi studiare ma io non volevo andare a scuola volevo tessere Mi ero  innamorata di quel mestiere.  Mio padre mi mandò a una sarta e  ci andai solo per un anno, poi mio padre mi portò da una tessitrice di Maglie per imparare. Questa  aveva un laboratorio con 4, 5 telai e delle operaie. Si lavorava tanto, non ti spiegavano, dovevi osservare in silenzio e imparare in fretta, si facevano tanti orditi. L’ordito è la cosa più importante, un ordito perfetto il lavoro è perfetto. Visto che sono di Muro per andare dalla maestra dovevo fare 6 km per arrivare a Maglie, andavo in bicicletta. Quando ho trovato un fidanzato mi accompagnava. Facevamo la strada insieme con la bicicletta,  quando lo venne a sapere mio padre che era molto geloso, lo trovò sconveniente, tanta strada da soli non si poteva fare. Andò dalla maestra e gli chiese se era necessario che io andassi, se ero diventata brava per lavorare da sola. Lei gli disse che ero molto brava, mi faceva fare una prova l’indomani, se l’avessi fatta senza errori non sarebbe stato necessario continuare ad andare. La prova consisteva nel montare l’ordito e tramare, la feci senza errori e la maestra mi disse: “dì tuo padre che sei pronta ,ti puoi ritirare”. Avevo 15 anni, mio padre comprò del legno d’ulivo, lo portò dal falegname e fece costruire il mio primo telaio, liberò una stanza e iniziai a lavorare. Ero brava, mi sono fatta subito il buon nome e avevo tanta gente.

Alessia: Così anche lei si è messa ad insegnare?

Pina: Si si. Quando le bambine finivano la quinta elementare non potevano andare a scuola,  non c’erano le possibilità, così le madri volevano che imparassero il mestiere di sarta,  ricamatrice o tessitrice. Quando iniziai a lavorare ero giovane e le bambine volevano venire da me. Mio padre mi fece costruire altri telai dal falegname e  ne fece anche uno piccolino per  le frange. Le facevo iniziare a lavorare con quello. C’è stato un periodo che avevo 18 ragazze a casa mia, le mamme insistevano  che le prendessi.

Alessia: Si faceva pagare per insegnare?

Pina: No, non c’era possibilità nel dopoguerra, ti regalavano fiori al compleanno o la farina.  Mi sono sposata, per 7 anni sono stata in Svizzera con mio marito, ho lasciato la  bambina a mia madre e non ho tessuto. Quando sono tornata  mi sono fatta casa, ho ricominciato e sono tornate le clienti. Era la fine degli anni 60 e le ragazzine studiavano, chi veniva voleva essere pagata ed era troppa spesa, ma ancora oggi se incontro chi veniva mi saluta, mi chiama maestra e  mi emoziono, io non ho il titolo di studio.

Alessia: Quindi lei con il suo lavoro aiutava economicamente anche suo marito, per le spese familiari?

Pina: Si, di questo mio marito era molto orgoglioso, era un carpentiere pagato a giornata, se non andava a lavorare perché  pioveva non lo pagavano, mentre io lavoravo sempre. Per il mio lavoro abbiamo rinunciato a tante cose però non ci è  mai mancato nulla.

Alessia: Che tipo di lavori faceva?

Pina: Corredi per la casa tovaglie, tovaglioli, tappeti, asciugamani, lenzuola, coprirete, coprimaterassi, strofinacci. Se le ragazze si dovevano sposare le mamme ordinavano il corredo, ci tenevano. Si usava anche il corredino per i neonati panni a tela o a spiga.

Alessia: Si facevano dei disegni mentre si tesseva?

Pina: Si si. Ce ne sono tanti, millerighe, serpentina a zig zag, serpentina diagonale, spiga stoccata, spiga diagonale, canestro.

Alessia: Faceva anche la lavorazione a fiocco?

Pina: Si,  ne facevo tanta per i copriletto,  i tappeti,  gli asciugamani, poi c’è stato il periodo dei completini per la colazione dei bimbi, con il fiocco scrivevo il nome e buon appetito. Si lavora su base tela ma servono i ferri della maglia. In base alla grandezza che vuoi cambi il ferro. Per i disegni, usavo quelli del punto croce che trovavo nei giornali, alcuni li ho anche rivisitati. Se lavoro a fiocco schiaccio solo i 2 pedali di mezzo, procedo con la tela per 2 o 3 fili e rilavoro a fiocco in base al disegno. Non lo richiedono più, se non fosse per Annalisa che mi commissiona avrei smesso di lavorare da un po’.

Alessia: Quando ha conosciuto l’architetto Annalisa Surace?

Pina: Tramite una tessitrice di Maglie, Gioconda che per problemi di salute non poteva più lavorare e mi passava i suoi lavori che si rivendeva. La signora ha fatto il mio nome e Annalisa che è venuta a conoscermi, ha visto i miei lavori e da lì ho iniziato a lavorare per lei. All’inizio il suo primo negozio si trovava a Bologna e lì vendeva asciugamani, tovaglie e tende di cotone e  lino.

Alessia: Lei ha sempre lavorato questi tipi di filati?

Pina: Si. L’ordito sempre di cotone, a volte di lino e la trama con cotone, lino, seta, lana, shantung. Con la lana facevamo le sciarpe, quando ha aperto ad Ostuni abbiamo realizzato capi d’abbigliamento e a Lecce c’è stata la grande richiesta.

Alessia: Mi può spiegare come si fa un ordito?

Pina: Non sono capace va visto, dipende dal pettine, ci sono pettini stretti e più radi. Poi dipende da quanti fili ci vogliono. Se fai l’altezza 90 hai bisogno di più fili. Poi dipende dal tipo di filato che usi per fare il conto di quanti kg ci vogliono ogni tanti metri. Io li ho scritti  su un quaderno. Ad es quando dovevo fare le lenzuola, sapevo che con 1 kg di cotone potevo fare 10 m o 11. Ogni tot di fili sapevo quanti metri. Adesso non c’è più bisogno, devi solo sapere quanti fili mettere nel pettine e li ho segnati sul pettine. Per es la liatura, no? Quando si contano i fili per metterli nel pettine, ad es 25 cucchie (coppie di fili) vuol dire 50  fili che s’inseriscono nel pettine, 50 fili sopra e 50 sotto. Quindi ogni 100 fili è una liatura. Nel pettine ogni 25 fili c’è una tacca.

Alessia: Quindi per l’orditura facciamo un po’ d’ordine…

Pina: Allora io mi faccio prendere trenta rocche, e prendo così trenta fili che li lego tutti insieme ad un nodo d’inizio, poi faccio la prima croce sopra, che si passa con l’indice e il medio. Poi fai tot passaggi a seconda di quanti metri vuoi, e quindi passi i fili da un chiodo all’altro in maniera longitudinale, poi arrivi alla croce finale che si prende con il pollice. Devi vedere, queste cose io non te le so spiegare.

Alessia:  Proviamo, poi…

Pina: Finito l’ordito, lo raccolgo con la catena che faccio io e la metto nel sacco. Poi faccio il rotolo in giardino, il rotolo vuol dire mettere l’ordito nel subbio posteriore del telaio. L’ordito lo devi mettere largo in base a quanto largo deve essere il tessuto da fare. Infine lo poggi sul telaio e cominci a infilare il filo nel liccio, un filo nel liccio, e due fili nel pettine. Ma non so spiegarti….. devi venire a casa mia e vedere quando lo faccio.

Nella FOTO raccolta, pettinatura e distensione dei fili di ordito sul subbio posteriore con la tessitrice Pina Specchia

Laboratorio TeDeSLab Weave

Orari 9:00 – 13:00

Ci trovi in

Piazzetta delle Giravolte nel Centro storico di Lecce

Il Laboratorio di tessitura è sede del Progetto TeDeSLab Weave e presto ospiterà la Startup delle partecipanti (Bando Artigianato sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD in collaborazione con OMA)